Vincenzo Sarno, classe 1987, ha annunciato il ritiro dal calcio giocato all’età di 37 anni, chiudendo una carriera iniziata sotto i riflettori e proseguita tra luci e ombre. L’enfant prodige di Secondigliano, protagonista a soli 10 anni di un trasferimento record al Torino per 120 milioni di lire, saluta il calcio con l’amarezza di chi ha conosciuto troppo presto le pressioni di un mondo che non perdona l’attesa disattesa.
A raccontare il suo addio è lo stesso Sarno in un’intervista rilasciata a La Repubblica, in cui ripercorre il peso di una scelta vissuta come un errore: “Il trasferimento fu un affare per altri, non per me. Mi trovai solo, lontano dalla mia famiglia, in un mondo che non conoscevo e che ho rifiutato da subito”.
Dopo l’iniziale boom mediatico – tra ospitate in tv e titoli roboanti come “il figlio di Maradona” – la parabola sportiva di Sarno si complica. Il passaggio alla Roma non porta i frutti sperati, così come l’esperienza al Chelsea a 17 anni, durata appena due settimane. Le difficoltà con la lingua e la mancanza di dialogo con José Mourinho ne decretarono l’ennesimo addio precoce.
Da lì in avanti, inizia per Sarno un lungo percorso nella Serie C, con ben 14 maglie diverse indossate. Ma nonostante la mancata esplosione nel calcio dei grandi, l’ex talento napoletano si è comunque tolto alcune soddisfazioni: quattro promozioni in Serie B, una Coppa Italia di Serie C, e soprattutto gli anni vissuti al Foggia tra il 2014 e il 2018, sotto la guida di Roberto De Zerbi, con 30 gol all’attivo.
“De Zerbi è un genio, ha rivoluzionato il modo di allenare. È stato il momento più alto della mia carriera”, ha dichiarato Sarno, che chiude la sua esperienza da calciatore dopo l’ultima stagione in Serie D con la maglia del FC Pompei, frenato da problemi fisici e dalla voglia di intraprendere nuovi progetti, come il patentino da osservatore.
Sarno non nasconde la delusione per un percorso che non ha rispettato le attese, ma non parla di rimpianti: “In Serie C si guadagnava bene, e vengo da una famiglia povera. Sono soddisfatto di quello che ho fatto”.
La sua è una storia simbolo di tanti talenti bruciati troppo presto nel tritacarne mediatico. Una vicenda umana prima ancora che sportiva, in cui un sogno troppo grande, vissuto troppo presto, si è trasformato in una strada alternativa, meno luminosa ma comunque dignitosa.